ALIMENTI ULTRAPROCESSATI, MICROBIOTA E MALATTIE
corpo (intestino)
3 novembre 2023
Alimenti ultraprocessati, nanoparticelle, microbiota e malattie | Stefano Manera Blog

Da tempo parliamo dell’importanza di ridurre, contenere o evitare il consumo di cibi eccessivamente processati, perché considerati nemici della salute e del benessere dell’organismo.


Gli alimenti in base al modo in cui sono lavorati possono essere suddivisi in quattro categorie secondo una classificazione denominata Nova, fondata appunto sui processi di trasformazione del cibo prima di diventare un prodotto finito pronto al consumo:


1.  Alimenti non trasformati o minimamente trasformati
2.  Ingredienti culinari processati
3.  Alimenti processati
4.  Alimenti ultra processati


Gli Alimenti ultra processati più diffusi sono:


- bevande gassate e zuccherate;
- snack e merendine confezionate;
- biscotti;
- creme spalmabili;
- fette biscottate e cereali per colazione;
- salse istantanee;
- pizze confezionate;
- bastoncini di pesce;
- wurstel;
- hamburger;
- zuppe confezionate;
- piatti pronti (surgelati e non);
- sughi pronti;
- veg-burger e hamburger vegani.


Un certo grado di lavorazione degli alimenti è piuttosto comune e consiste, per esempio, nella cottura e nell’aggiungere sale o olio. Se ciò avviene industrialmente, come per esempio con i legumi in scatola, i cibi sono detti processati.


I cibi ultraprocessati sono chiamati in questo modo perché contengono numerosi ingredienti aggiunti (per esempio sale, zucchero, coloranti, additivi) e inoltre perché spesso sono prodotti dall’elaborazione di sostanze (grassi, amidi eccetera) estratte da alimenti più semplici.
In questo ultimo gruppo di alimenti sono comunemente utilizzati come additivi nanoparticelle di ossidi metallici, tra cui il biossido di titanio e l’ossido di zinco per migliorare l’aspetto e la consistenza dei prodotti alimentari.
Tuttavia, la loro sicurezza è stata oggetto di dibattito per molti anni, soprattutto riguardo la loro potenziale tossicità per l’uomo e per l’ambiente.
Uno studio recentissimo (2023) pubblicato su Antioxidants dimostra che l’esposizione alle nanoparticelle di ossido di metallo causa cambiamenti nelle popolazioni microbiche intestinali.

I ricercatori hanno osservato una diminuzione dei batteri benefici Lactobacillus e Bifidobacterium e un aumento di batteri potenzialmente dannosi come Enterococcus ed Escherichia coli.
Le nanoparticelle non solo alterano le popolazioni microbiche, ma anche la funzionalità della membrana e la morfologia intestinali, modificando l’assorbimento dei nutrienti.
Le nanoparticelle renderebbero la mucosa intestinale più sottile e meno organizzata, il che potrebbe portare a una diminuzione dell’assorbimento dei nutrienti e a una compromissione del sistema immunitario.
Il consumo di nanoparticelle di ossido di metallo per uso alimentare può avere quindi un impatto significativo sul sistema gastrointestinale e sulla salute generale.


L’associazione tra il consumo di cibi ultraprocessati e l’aumento di rischio di tumore del colon è stata descritta in un articolo pubblicato nell’agosto 2022 sul British Medical Journal.
Lo studio di Antioxidants conferma e sostiene quanto diciamo da anni, cioè di evitare il consumo di cibi processati o ultraprocessati.
Sappiamo che il consumo di alimenti di scarsa qualità nutrizionale o di cibi ultraprocessati aumenta in modo rilevante il rischio di mortalità, in particolare per le malattie cardiovascolari, ma anche per i tumori e il rischio di mortalità aumenta non solo a causa della bassa qualità nutrizionale di alcuni prodotti, ma anche per la loro eccessiva elaborazione (o processazione).


Fonti:
1. Food-Grade Metal Oxide Nanoparticles Exposure Alters Intestinal Microbial Populations, Brush Border Membrane Functionality and Morphology, In Vivo (Gallus gallus). Antioxidants 2023, 12(2), 431; https://doi.org/10.3390/antiox12020431
2. Association of ultra-processed food consumption with colorectal cancer risk among men and women: results from three prospective US cohort studies.
BMJ 2022; 378 doi: https://doi.org/10.1136/bmj-2021-068921









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