LA MORTE MAESTRA DI VITA
mente (cervello)
23 gennaio 2023
La morte maestra di vita | Stefano Manera Blog

La morte ci può insegnare a gioire della nostra vita?
Credo che sia opportuno trattare questo tema in queste fredde serate invernali, in cui il buio occupa buona parte delle nostre giornate e in cui le tenebre cercano di farsi spazio.

È proprio questo uno dei motivi per cui invito sempre a tenere una luce accesa, che sia una candela o una lampada di sale, per simboleggiare la luce che vuole farsi strada.
Questo dualismo buio e luce esiste dalla notte dei tempi e l'uomo si è sempre confrontato con la morte, elaborando per questo i riti funebri.

Sebbene la morte faccia parte della storia da sempre, la morte è la madre di tutte le paure. Quando si accenna il tema della morte le persone si spaventano, non ne vogliono sentire parlare: in definitiva, è un tema scomodo.

 

Oggi si muore sempre meno nelle case e sempre più nei luoghi di cura, lontani dalla presenza dei familiari. Quando si muore si procede subito alla tumulazione, mentre una volta esisteva una ritualità fondamentale, si rendeva omaggio, si vedeva la salma, si partecipava alle preghiere. Questo permetteva di attivare il meccanismo della compassione e del rispecchiamento.

La morte ci può insegnare a vivere la vita. Se ci permettiamo di osservarla al di là della paura, essa diviene una maestra.

Ci insegna a non perdere il contatto con ciò che abbiamo ora, la vita. Il nostro bene più prezioso.


Vivere oggi è la nostra grande responsabilità. Il nostro compito è onorare la vita, onorare il nostro corpo, non abusarne, non danneggiarlo, proprio perché ne abbiamo uno solo. Onorare la vita significa anche avere cura della nostra parte più animica, energetica e mentale. Perché non siamo fatti solo di corpo, come ci vorrebbe far credere la moderna visione riduzionista, iniziata da Cartesio e mai più abbandonata.
La morte riguarda tutti e ci insegna che questo tempo che ci è dato (e che nessuno sa quanto durerà) lo dobbiamo vivere al meglio senza buttare via nemmeno un istante. Questa vita e questo tempo non sono cose scontate.
Ricordarcelo è un elemento decisivo per riscoprire il valore dell'unicità della nostra vita.

 

Perché per alcune persone è più facile e per altre è impossibile comprendere la morte?
Non è una questione solo di religione; come per altri temi (amore, malattia, valori) dipende dal livello di consapevolezza individuale.

I nostri sensi ci fanno vedere solo una parte della realtà, la maggior parte ci è oscura. Se avessimo dei sensi più sviluppati potremmo vedere molto altro, come i campi energetici, per esempio, potremmo "sentire" o "vedere" le energie.
Sulla consapevolezza si può lavorare.

Nella vita esistono diverse fasi: prima dei 7 anni siamo estremamente sensibili alle energie, ma non siamo in grado di razionalizzarle, dopo questa età poi perdiamo la capacità di ascolto delle forze sottili, veniamo condizionati da traumi e da limitazioni, da quello che ci viene detto e che ci può persino portare a vivere una vita non nostra.


Dentro il nostro cuore esiste una fiammella vitale e che dovremmo riscoprire: questa fiammella è il nostro desiderio. Non intendo il desiderio fisico e materiale, ma quello inteso come vocazione. Il lavoro che viene richiesto nella nostra vita è quello di scoprire il vero motivo per cui abitiamo questa vita.
La radice della sofferenza (tema presente in ogni misticismo e in ogni filosofia perenne) é proprio la mancanza di consapevolezza.

Lavoro quotidianamente con pazienti che si rivolgono a me per tanti motivi, ma che celano quasi sempre un grave problema di consapevolezza.
Andare verso la consapevolezza non è un lavoro facile, è un lavoro che pone ognuno di noi davanti ai propri "mostri". Per questo motivo tendiamo a scappare, ma se scappiamo, essi si ripresentano, sempre più grandi.


Come possiamo aiutarci ad uscire da tutto questo? Per farlo, possiamo pensare a dei livelli.
Il primo livello è la percezione, il secondo livello è rappresentato dalla conoscenza, ma questa non basta, il passo successivo, il terzo livello, è quello della consapevolezza che trascende e include sia la percezione che la conoscenza. Quando contattiamo la consapevolezza siamo costretti ad agire. La consapevolezza porta all'azione, se no ci ammaliamo.
Possiamo non agire se restiamo solo con la percezione e la conoscenza, ma non possiamo non agire se entriamo nella consapevolezza.


Cosa fare? semplicemente ascoltarci. Non esistono riti magici.

La cosa fondamentale è l'ascolto di noi. L'uomo lo fa da sempre. Attraverso la tecnologia della meditazione, che può essere di qualunque tipo, qualcunque cosa in grado di allineare la mente col cuore, uscendo dai dualismi come mente/corpo, giusto/sbagliato, bianco/nero, eccetera.

Questo non è affatto un cammino semplice.
Serve allenarsi con costanza e essere leggeri, come quando si va in montagna. Non meditiamo per stare bene nel momento in cui pratichiamo in quella mezz'ora, meditiamo affinchè quella mezz'ora lavori in tutta la giornata, proprio quando non meditiamo.

Con l'ascolto del nostro corpo, delle nostre sensazioni, con la consapevolezza dei nostri pensieri, piano piano arriviamo a vedere con gli occhi aperti, a svelare il vero, a dipanare i pretesti. Meditare è tornare al reale, fuori dall'inganno dell'illusione, meditare è fare spazio, fare vuoto.

 

Spesso mi viene chiesto come si possa prepararsi alla propria morte?
Rispondo che è possibile riconoscendo che la morte esiste. La morte non chiede di essere capita e compresa, ma chiede di essere osservata e vista. Nel momento in cui noi onoriamo la nostra vita abbiamo già fatto dei gran passi avanti nella consapevolezza e nell'accettazione incondizionata della nostra morte. La morte fa parte della vita come il respiro e il battito cardiaco, condizioni fondamentali della nostra esistenza.

Uscire dal dualismo significa non considerare la morte qualcosa al di fuori della vita, ma capire che fa parte della vita stessa. Solo così potremo vedere anche la nostra morte con grande apertura e meno paura.

 

Come mantenere un contatto spirituale con i nostri cari defunti?
Nella Bibbia si dice che non bisogna far interagire i morti con i vivi. I nostri morti possiamo ricordarli per quello che sono stati, noi siamo i nostri genitori, i nostri nonni, essi vivono nei nostri cuori, in quello che siamo, nelle cellule di cui siamo fatti. Non dobbiamo fare l'errore di vivere nel ricordo e nel passato. I morti sono morti e chiedono semplicemente di stare lì dove sono, non  chiedono di tornare.
Li possiamo ricordare onorandoli e onorando la vita stessa.

 

Questo post è stato tratto dal webinar di Macrolibrarsi la cui registrazione è disponibile QUI.

Di questi temi ho parlato ampiamente nel mio libro QUESTO NOSTRO IMMENSO AMORE

 

 









web design