TUTTE LE VOLTE CHE SONO MORTA
la stanza degli ospiti
14 febbraio 2024
Tutte le volte che sono morta - Francesca Favotto | Stefano Manera Blog

[ Articolo di Francesca Favotto ]

 

Oggi fuori piove. È una giornata autunnale, pur essendo inverno.
Stare sotto la pioggia con la bocca aperta, senza giacca, per accogliere ogni goccia. Quante volte l’ho già fatto, quante lo farò… Lo vivo come un dono, una trasgressione che non infrange nessuna regola, se non quella che ci hanno imposto da piccini, di non andare sotto la pioggia senza ombrello.
È da un po’ che l’ombrello non lo uso più, credo da quando Matteo se n’è andato.
Sono nel suo studio, seduta alla sua scrivania. Osservo la pioggia battente nutrire la terra, salvarla da un’arsura a cui questo tempo impazzito la sta costringendo. Mi pervade un senso di riconoscente malinconia.

 

[ Now playing: “And we’ll leave it there…” - Olafur Arnalds/Ella McRobb ]

 

Matteo se n’è andato, ormai quasi quattro anni fa. Questa casa non è più la nostra da tre. Ma ci posso tornare ogni volta che voglio. Perché Matteo non mi ha lasciato: si è solo spostato nella stanza accanto. Ora che il suo corpo si è dissolto in mille gocce e torna nella mia bocca ogni volta che danzo sotto la pioggia, lo sento ancora più vicino di prima, di quando era una gabbia divelta, dilaniata, arrugginita, consunta dalla malattia. Ora la sua anima è pura luce nella luce pura e mi pervade ogni istante.
Ci penso, mentre guardo fuori da una finestra che un tempo dava sulla vita che sognavamo insieme, ma che non è più. Non può più essere. Non sarà mai più. Si è trasferito nella stanza accanto in una calda mattina di agosto, nel giorno della Trasfigurazione di Gesù Cristo, mi fece notare la nostra amica Suor Naike. Con la sua morte di certo ha trasfigurato la mia vita.
Quel giorno inaspettatamente non sono morta anch’io. Mi sentii mancare per un attimo la terra da sotto i piedi, ma fui subito sostenuta da una forza ingovernabile, inconcepibile, incredibile. Una forza che poi mi servì per sopravvivere alle morti solo mie, quelle morti che avrei dovuto affrontare da sola, ma che solo da soli si possono attraversare per tornare a una nuova vita.
Matteo morì e io chiusi un primo capitolo della mia esistenza, dando il via a una seconda vita, che di fatto era già cominciata prima della sua partenza: Matteo mi aveva solo preparata.
Il mondo in cui viviamo, la società che abitiamo, la realtà in cui siamo ci hanno abituati a ragionare per dualità, così una cosa o è brutta, o è bella, o positiva, o negativa. Ma questo è solo giudizio, una mera valutazione anche un po’ indotta per cercare di sentirci a nostro agio in questa vita.
Io sono arrivata a ringraziare la morte di Matteo, per avermelo liberato e restituito ancora più potente. Lo ricordo ancora. Era il 3 gennaio 2022, ore 17.03 e io ero di ritorno da Torino sulla autostrada A4 direzione Milano.
Voi sareste capaci di fare altrettanto? Matteo era un’anima illuminata e troppo immensa per poter essere contenuta in un corpo arrivato a pesare 40 chili per via del cancro. I suoi occhi nocciola enormi ormai erano stanchi di resistere all’ineluttabile: li ho visti tornare a brillare solo quando la Luce è venuta ad abbracciarlo per riportarlo a casa.
In quella sua partenza, ho toccato con mano l’Amore, qualcosa che ancora non riesco a spiegare a parole, un miracolo che mi ha avvolta e che ancora mi porto dentro, testimone di un’infinità e che mi ha aiutata a rinascere tante volte, dopo.
Avrei dovuto sentirmi in colpa per tutta quella voglia di andare avanti dopo la sua morte, ma la realtà era che a me non mancava Matteo, tanto Matteo è dentro di me anche ora. Spesso mi è mancato il suo saper starmi accanto, il suo saper sempre cosa fare quando le cose non vanno come avrei voluto. Mi sono mancate le sue braccia chilometriche attorno al mio corpo, le sue cosce a tenermi al caldo i piedi gelidi in un lettone troppo grande per una persona sola.
Avete mai fatto caso a quanto può essere dispersivo un lettone quando lo si abita da soli? Tante notti delle mille di questa nuova vita le ho trascorse a parlare da sola, immaginando un dialogo tra me e un’altra persona; tante ne ho passate a bere le mie lacrime; tante a stringermi tra le mie braccia, sognando un abbraccio caldo; tante ad accarezzarmi con amore per vedere se ancora ricordavo cosa significasse provare piacere.
Non c’è stato più nessuno dopo di lui. Ma non perché io mi sia chiusa nel dolore, e nemmeno perché nessuno fosse in grado di reggere il paragone. Semplicemente io non ero ancora pronta. La mia vita non è a riempire: ho dovuto scendere nel mio buio più profondo, morire a me stessa numerose volte, per imparare a farmi diafana e a vedermi attraverso. E ciò che vedo ora è quanto sia necessario che Francesca abiti dentro Francesca per far sì che qualcun altro possa dimorarle accanto.
Sono morta quando ho guardato in faccia i miei demoni, la bestia non ancora domata che mi spingeva a cercare “amore” tra le braccia sbagliate, affamata di approvazione e di carezze senza cure. Sono morta quando mi svalutavo, convinta di non essere abbastanza, e accettavo condizioni di lavoro svilenti per la professione, ma soprattutto per la mia persona. Sono morta quando ho accettato il fatto che nelle relazioni – anche d’amicizia – che avevo, ero io quella che dava sempre e sempre e sempre e tutto, per paura che l’altro o l’altra se ne andasse, arrivando sui gomiti a ingoiare rospi che non passavano dalla bocca, figuriamoci dalla gola. Sono morta, non quando ho imparato a dire no a condizioni inique, ma quando perdendo tutto, sono stata tentata di tornare indietro pur di riprendermi le briciole.
Si muore tantissime volte, ogni giorno. Soprattutto si muore quando non ci ricordiamo di noi stessi, nel tentativo di compiacere quel chiunque che non sa nemmeno quante notti abbiamo passato in bianco, tentando di comprendere se gli sbagliati in questo mondo fossimo noi.
Ho compreso di non essere sbagliata, ma di essere semplicemente io, giusta in un momento giusto.
Perché spesso ci incaponiamo a incastrarci in situazioni che non ci calzano, forzandoci in una sofferenza inutile, a cui forse siamo assuefatti per fingere di sentirci vivi.
Ho conosciuto il dolore innumerevoli volte, ma ogni volta, consapevole o meno, ho assaporato la sofferenza, non crogiolandomici. Ho ringraziato per avermi messo davanti alle mie mancanze, ai miei scordi, ai pezzi sparsi di me, che ancora non avevano ritrovato la strada di casa. Alcuni li ho già riportati a me, altri ancora attendono di essere ritrovati. Ma ho imparato che non vanno cercati: semplicemente li ritrovi quando sei pronta a riattaccarli alla tua anima, a ricevere il dono che sei.

 

Ho guardato fuori dalla finestra, ormai la luce ha fatto spazio all’imbrunire. La luna mi sorride, è un taglio sbieco che conosco molto bene. Ormai conosco ogni angolo della notte, le sue braccia mi hanno cullato quando non sapevo dove andare. Ché quando qualcosa ti fa paura, l’unica cosa che puoi fare è abbandonartici.
Mi sono alzata dalla scrivania, ho infilato le scarpe. Sono uscita nella notte. Piove ancora più forte, ma nell’aria è quasi primavera.
Ho chiuso gli occhi, ho aperto la bocca, ho bevuto l’amore.
Consapevolmente incredula di come la felicità possa essere chiusa in una goccia dopo l’altra, venute a cadere per ricordarti che tutto ciò che cade, rinasce in un seme che ha il coraggio di bucare la terra, essere fiore e tornare a casa.
Si chiama morte, si legge vita.
Insieme fanno l’amore che siamo chiamati a essere. Adesso, ora. Senza aspettare che sia già domani.

 

[ Now playing: “Andare oltre” – Niccolò Fabi ]

 

-----

 

Francesca Favotto è un'amica che è rinata attraversando la soglia della morte. La morte del suo compagno Matteo, avvenuta quasi quattro anni fa, l'ha sradicata, facendola più essere nessuno, fino a che non ha scelto di essere davvero se stessa.

Francesca da allora ha cominciato a impiegare le sue competenze a favore di quella che ha sentito essere la sua missione: mostrare con la sua testimonianza che si può vivere una vita piena, praticando la gratitudine, la gentilezza e l'abbondanza, nonostante le fosse stato tolto tanto, nonostante il grande dolore.
Giornalista di costume, appassionata delle parole e della musica, aspirante CLO (Chief Love Officer), è una persona che ha fatto dell'amore la sua missione: la sua ambizione più grande è testimoniare a qualunque essere umano, con ogni mezzo, che c'è amore ovunque, anche laddove non sembra essercene più.









web design