LA TORTA DELL'IMPOSTORE
la stanza degli ospiti
11 aprile 2022
La torta dell'impostore - Valentina Ferri | Stefano Manera Blog

Racconto di Valentina Ferri,  Condominio Zero.

 

"[...] La sindrome dell'impostore è un modello psicologico in cui un individuo dubita delle proprie capacità, talenti o risultati; qualunque sia il successo raggiunto, questo non sarà mai abbastanza per mettere in discussione il vissuto di "immeritevolezza" sperimentato.
Comune è la tendenza ad attribuire i successi conseguiti, seppur ripetuti e notevoli, a fattori esterni. Tipicamente, si individuano tra tali fattori la fortuna, o il fatto che le altre persone sovrastimino le capacità del soggetto.
A causa di questo fenomeno le persone che ne soffrono temono costantemente di essere “smascherate” nella loro vera natura e, così, di poter perdere da un momento all’altro tutto quello che hanno guadagnato o costruito in termini di successo personale.
Qualsiasi prova diventa fonte di angoscia perché potrebbe essere quella decisiva per decretare l’attesa e irrimediabile catastrofe." (1)

 

Personalmente, aggiungo che spesso chi ne è afflitto, lungi dal sottrarsi alle prove,  facilmente si lancerà come un kamikaze in imprese decisamente fuori dalla propria portata  (o almeno questa è la percezione), pur consapevole dei colpi che le suddette imprese assesteranno alla già traballante impalcatura di autostima che il  poveretto ha tentato di erigere negli anni.
Non mi è chiaro se si tratti in effetti di scelte suicide, volte a dimostrare a se stessi la fondatezza delle proprie angosce, o piuttosto di un inconscio tentativo di affrancarsene.

 

Proprio all’inizio della mia avventura in cucina e della nascita del blog, ricevetti da un’amica la richiesta di sostituirla nella preparazione di una torta di compleanno per il figlio di un personaggio famoso nel mondo dello spettacolo, pieno di intolleranze alimentari e molto attento alla dieta.
La torta doveva essere senza derivati animali, zuccheri, farine raffinate e glutine. E non parliamo di crostatine crudiste ai datteri e mela, ma di una vera torta di compleanno con decorazioni e tutto il resto per trenta persone.
"No, no, guarda, ti ringrazio per la fiducia ma è troppo difficile. Poi, scherziamo, proprio per S. che dev’essere abituato come minimo alle torte di Knam. No, grazie".
Dopo infinite resistenze capitolai, stuzzicata dalla sfida e pungolata nell’amor proprio, animata dal senso dell’onore di un samurai o, più probabilmente, posseduta dallo spirito di Cavallo Pazzo.

 

Per prima cosa è necessario procurarsi una teglia di grosse dimensioni; così mi precipito in un negozio di casalinghi e nel dubbio ne compro quattro, di varie fogge e misure. Per poi scoprire, tornata a casa, che due su quattro non entrano nemmeno nel forno.
Mi hanno ripetutamente suggerito di calcolare il cosiddetto food cost, di tenere il conto cioè di ogni spesa sostenuta, per valutare poi il prezzo finale del prodotto e il mio guadagno (ah ah ah).
Costo delle teglie: 42€.

 

Quattro giorni prima inizio con le prove.
Prima prova: base di frolla senza glutine.
Ovviamente, una frolla senza glutine è fragile come una statuina di cristallo e quindi molto delicata, soprattutto se di quelle dimensioni.
Intreccio un nido di strisce di carta forno (che nemmeno un artigiano del vimini) e riesco ad estrarre il guscio di frolla dalla teglia senza deflagrarlo. Sembra funzionare.
Costo: mezza giornata di lavoro non quantificabile (anche il tempo va considerato, mi dicono), materie prime 16€.
"Beh, questa non conta, è una prova." Consumerò la frolla a pezzetti per colazione nei successivi trecento giorni.

 

Tre giorni prima. Seconda prova: la crema.
Al primo tentativo viene buonissima, ma troppo morbida per una torta di quelle dimensioni.
"Non importa, la rifaccio".
Secondo tentativo: “Bene, più consistente”.
Costo: Una giornata di lavoro (non quantificabile), ingredienti bio e a chilometro zero: 17€.
Quasi due chili di crema finiscono in freezer. "Ma questa non conta, è una prova, la utilizzerò un’altra volta".

 

La parte che preferisco è la decorazione, che può fare la differenza: abbellire un dolce o trasfigurarlo irrimediabilmente. E qui, finalmente, cinque anni di liceo artistico e quattro di studio della storia dell’arte, cominciano a non sembrarmi più tempo sprecato e mi regalano qualche molecola di sicurezza in più.
Per fortuna il cliente ha optato per una copertura di frutta, non dovrebbero essere necessarie prove. Meglio comunque  evitare la disposizione geometrica, se non è più che perfetta sembrerà uno di quei lavoretti dell’asilo; una distribuzione apparentemente casuale andrà meglio. Più moderna. E facile, forse. Peccato che non abbia voluto la panna, quella risolve un sacco di problemi.

 

A pensarci bene però,  qualche inserto di cioccolato per spezzare la monotonia ci starebbe bene.
Due giorni prima. Per la terza prova acquisto una siringa a penna per il cioccolato fuso: 18€.
Produco cerchi, rombi, strisce, bastoncini, piccoli animaletti intagliati, fregi art-decò… ma non sono del tutto soddisfatta.
"Meglio usare gli stampini". Esco a comprarli.
Costo: stampini, più cioccolato fondente di pregio, dall’intenso aroma di cacao dell’Ecuador (probabilmente forgiato a mano da un maitre-chocolatier parigino): 29€
"I decori di cioccolato di prova si conservano, posso usarli anche su un altro dolce".

 

Ultimo step: l’imballaggio.
Giro cinque o sei pasticcerie cercando invano una scatola di dimensioni adatte e infine mi risolvo a comprare un vassoio minimal chic, una carta con disegni infantili ma eleganti e cartoncini colorati da cui ritagliare le strisce di protezione.
Costo dell’imballo: 13€. Quello delle giornate di lavoro, compreso il tour dei negozi, non lo calcolo nemmeno più.

 

La sera prima dell’esecuzione definitiva (la parola esecuzione richiama precisamente lo stato d’animo con cui si attende il giorno fatale) controllo di avere il necessario e vado a dormire.
Dormire… in realtà tutto un rotolare nel letto, prima in posizione fetale, poi a stella marina, scambiando testa piedi, piedi testa, sotto le coperte, fuori dalle coperte, alzandomi a bere, poi a fare pipì, sognando ex fidanzati vestiti da clown (questa me la devo segnare) e infine alzandomi in anticipo di un paio di secoli sull’ora della sveglia.

 

Ci siamo. Spengo il telefono, allontano chiunque da casa e dispongo ingredienti e utensili in perfetto stile sala chirurgica.
Il fatto è che comincio sempre con la precisione di un anatomopatologo e poi, chissà come, finisco per sembrare Paperino dopo un’ esplosione di tritolo.
I capelli poi, non c’è verso di domarli, li trovo dappertutto e un capello nella torta… mio Dio!
Mi riempio la testa di mollette, mollettoni, fasce per capelli; prima o poi dovrò decidermi a indossare una cuffia da piscina, per sicurezza.

 

La base di frolla viene bene. "Con calma Vale, senza fretta di tirarla fuori dalla teglia, lasciala raffreddare o te ne pentirai. E se fa umidità sul fondo? E se perde friabilità? Non importa, casomai la rifaccio. Ho ingredienti a sufficienza per sopravvivere a un olocausto nucleare.
Forza, ora la crema…  Latte d’avena bio, sciroppo d’acero bio, amido di riso (unica concessione, nel rigore generale), scorza di limone super bio coltivato sulle rive del Garda, tanta vaniglia (quasi 2000€ al chilo la vaniglia, qui saranno 5-6 grammi, quindi, facendo il conto… ma senti, chi se ne frega).
Bene, dai. Adesso bisogna girarla costantemente ogni dieci secondi, se no fa la pellicola quando raffredda, o peggio i grumi”.
Versata la crema sulla base, inizio a disporre i frutti: uno girato a destra, uno a sinistra, uno di piatto. Deve apparire asimmetrica, ma non a casaccio.
Quindi, colo il cioccolato fuso negli stampini a forma di foglia e attendo.
"Oddio, avrei dovuto temperarlo magari, se no farà la patina bianca. Che figura da dilettante, porca miseria, il cioccolato non temperato".
Lo rifaccio. Cerco un tutorial su YouTube e quando ho finito di temperare il cioccolato è quasi mezzanotte.

 

Insomma, dopo quattro giorni di prove,  sedici ore di accidenti, imprecazioni, notti insonni, rapporti personali sull’orlo della crisi irreparabile e la cucina che pare essere stata attraversata da un razzo di Will Coyote… la torta è finita!
Niente male, il dramma delle torte è che non puoi assaggiarle per assicurarti della riuscita.

 

Il "Giorno del Giudizio", dopo una sessione di trucco "nude-look" in grado di conferirmi un’aria fresca e riposata che non desti sospetti, carico la torta in macchina, non prima di aver allestito un’infrastruttura di materiali morbidi per ammortizzare i colpi e gli spostamenti (ci manca solo che arrivi in briciole).
Mi presento in orario per la consegna e capisco che mi stavano attendendo con ansia (loro). Sono una coppia gentile, il tizio famoso e la moglie, mi offrono un caffè e scambiamo due parole. Naturalmente alludo alla tournee di lui in teatro, che faccio capire di aver seguito, ma senza esagerare, che non sembri adulazione.
"Senti, ci dispiace disfare adesso una confezione così bella ma ci piacerebbe vederla. Hai fatto una foto per caso?"
"Beh, sì" replico timidamente. Mostro la foto sul cellulare dietro la ragnatela di crepe dello schermo disintegrato da ripetute cadute, vergognandomene non poco.
"Wow! E’ stupenda. Quanto ti dobbiamo?"
Per tutta la strada avevo ripetuto a me stessa "Non meno di 90€" ma chissà perché mi esce: "60€".

 

"Sei sicura? Mi pare poco".
"Ma no, va benissimo, figurati (sottotesto: l’ho fatta ad occhi chiusi). Fatemi sapere poi se vi è piaciuta", butto lì con simulato disinteresse.

 

Domenica sera: silenzio.
Lunedì: silenzio.
Martedì: un’intera seduta di psicoterapia dedicata alla torta, costo 80€.
Sospetto fortemente che la povera psicoterapeuta, santa donna, a breve non avrà più la forza di sostenere queste sessioni di cucina in cui le spiego nel dettaglio la difficoltà di portare velocemente la temperatura del cioccolato da cinquanta a ventotto gradi, quindi alzarla di nuovo a trentuno, soprattutto con quell’accidenti di termometro  inaffidabile che mi ritrovo. Non bisogna risparmiare sulle attrezzature, devo ricordarmelo.
Tutto per convincerla che la complessità è reale, nonostante lei tenti ripetutamente di riportarmi al punto, ossia la mia ansia da prestazione (da dove arriva, etc. etc.) Che noia.
Prova a ricordarmi che ‘ogni volta’ è così e che in realtà quello che cucino viene sempre apprezzato.
"Sempre, sempre… Tu dici così ma arriverà prima o poi il momento del patatrac, e sicuramente è questo! Quello meno opportuno, con un personaggio famoso. Un flop colossale e una figuraccia con la mia amica. Ecco cosa succederà".

 

Martedì sera, ossia cinquantanove ore dopo l’orario in cui immagino debbano aver assaggiato la torta, arriva la telefonata di S.
"Grazie, era squisita, davvero, tutti contenti, scusa ma non sono riuscito a chiamarti prima", segue piacevole chiacchierata.
Mando un messaggio alla psicoterapeuta: tutto bene. La visualizzo mentre alza gli occhi al cielo, classificandomi come paziente irrecuperabile.
Io finalmente respiro.

 

La morale della favola non c’è, non ancora, perché i percorsi di guarigione, si sa, sono lunghi e tortuosi.
Solo, una prece: a noialtri non interessa guadagnare, ma se ordinate una torta dell’impostore, per favore, chiamateci non più tardi di mezz’ora dopo.
E se necessario mentite. Tanto il dubbio che abbiate dissimulato il malcontento per gentilezza ci assillerà comunque a lungo.

 

(1) - Langford, Joe; Clance, Pauline Rose (autunno 1993). "Il fenomeno dell'impostore: recenti risultati di ricerche riguardanti dinamiche, personalità e modelli familiari e le loro implicazioni per il trattamento"

 

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Valentina Ferri, in arte Zucchina Republic, cuoca vegana, ha scritto il libro di racconti leggeri e garbati Condominio Zero.

Valentina è una mia cara amica, anzi di più, lei è una di famiglia.

Ci conosciamo da molti anni e per questo mi sento molto fortunato.

È la fidanzata di Mauro Anzideo, che per questo blog ha scritto qualche mese fa un bellissimo pezzo:

Respiro e sorrido.









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