APPROCCIO TERAPEUTICO DEI BLOCCHI PSICOSOMATICI
mente (cervello)
19 agosto 2023
Approccio terapeutico dei blocchi psicosomatici | Stefano Manera Blog

A maggio scrissi un articolo intitolato Origine dei blocchi psicosomatici, dove spiegavo la relazione tra teoria polivagale e meccanismo di attacco e fuga, evidenziavo come i blocchi originino dagli ostacoli al libero flusso di energia che impedisce il cosiddetto flow, cristallizzandosi in patologia psico-somatica.
La domanda che possiamo porci, a questo punto, è: dove si concretizzano effettivamente le cristallizzazioni, ovvero i blocchi bioenergetici e, soprattutto, quale approccio terapeutico utilizzare?


Nel nostro corpo fisico, i blocchi si manifestano prevalentemente in due strutture:


- La matrice extracellulare
- Le fasce


Della matrice ho parlato in un altro articolo, Matrice extracellulare e infiammazione, e ho scritto chiaramente che è il luogo dove nel nostro corpo si manifestano maggiormente l’acidosi tissutale e l’infiammazione.
Per poter affrontare il tema della terapia dei blocchi, è fondamentale parlare della correlazione tra fasce e blocchi emotivi.


Il tessuto fasciale comprende classicamente i legamenti, le strutture che avvolgono i muscoli e le membrane che rivestono gli organi interni; viene chiamato anche coi termini di membrane, aponeurosi e legamenti.
Esso trasmette il movimento dai muscoli alle ossa alle quali sono fissate, crea un sostegno ai nervi e ai vasi sanguigni che passano attraverso i muscoli, circonda, sostiene e protegge i muscoli e gli organi interni.


La fascia, secondo Willard (2007), è suddivisa in due livelli principali (superficiale e profondo, ad eccezione della regione palmare e plantare) e in tre sistemi (biomeccanico, meningeo e viscerale).
- La fascia superficiale è lo strato più esterno che, sotto il derma, ricopre tutto il corpo come se fosse un manicotto.
- La fascia profonda è situata sotto la fascia superficiale, è costituita da strati sovrapposti di fibre connettivali che conferiscono caratteristiche biomeccaniche diverse.


Le fasce derivano dallo stesso foglietto embrionale: il mesoderma.
Nel corso dello sviluppo embrionale, il mesoderma subisce un movimento di riorganizzazione (di “arrotolamento”, potremmo dire) in tutte le direzioni.
Questo in seguito darà origine a micromovimenti definiti col termine di motilità e di prevalente pertinenza biodinamica e craniosacrale.
La motilità cessa solo con la morte ed è un indice di vitalità apprezzabile attraverso l’ascolto manuale (palpazione).


È importante ricordare che le sostanze fondamentali della fascia sono il collagene e la matrice extracellulare.

 

La fascia è presente in ogni parte del corpo e costituisce un elemento fondamentale della fisiologia umana, soprattutto grazie al suo ruolo di difesa, infatti essa rappresenta la prima barriera di difesa dell'organismo.
Reagisce in modo indipendente e ancor prima dell'intervento delle strutture nervose, per questo la fascia è talora definita col termine di "cervello periferico".
È qui che si stabilisce un dialogo permanente tra le varie strutture e tra l'ambiente intra ed extra-cellulare al fine di mantenere un equilibrio funzionale del corpo.
Dal punto di vista meccanico, le fasce si organizzano in catene fasciali e permettono la mobilità delle varie strutture corporee, agendo contro le costrizioni.
Qualora la costrizione superi una certa soglia, la fascia modifica la sua visco-elasticità e la catena fasciale diventa una vera e propria "catena lesionale".


Quali sono le costrizioni che possono portare alla formazione di una catena lesionale?


- traumi fisici (malattie e incidenti);
- traumi emotivi (acuti e cronici).


I traumi vengono sempre tradotti a livello fisico in infiammazione e l’infiammazione, attraverso i suoi mediatori, è in grado di modificare le caratteristiche anatomiche della matrice che costituisce le fasce, solidificandola.
Idealmente, possiamo pensare a tutti gli effetti a un gel che si disidrata e che diviene sempre più viscoso.


Ogni trauma è conservato nella memoria della fascia e comporta una modificazione della motilità corporea.


Ad esempio, una persona che non ha saputo esprimere il proprio potere personale, tenderà ad assumere una postura di chiusura.
Persone i cui genitori sono stati troppo controllanti, tenderanno ad essere incurvate assumendo la classica postura da "ali tarpate".
Chi ha subito dei traumi emotivi rilevanti o chi ha vissuto dei lutti potrà vedere una modificazione del proprio respiro, e così via.
La "nuova postura" è il modo con il quale il nostro sistema organizza i segmenti corporei per "scappare", assecondare o creare nuove strategie nel tentativo di difendersi da una disfunzione.
Quando i nostri compensi finiscono e non trovano più vie di fuga, le disfunzioni si cronicizzano e possono trasformarsi in vere e proprie patologie.


Oggi sappiamo che i traumi hanno effetti profondi sul corpo e sul sistema nervoso e molti sintomi di chi ha vissuto un trauma si manifestano a livello somatico.
I pazienti che nella loro storia presentano dei traumi irrisolti, riportano quasi sempre un’esperienza corporea non regolata: una cascata incontrollabile di emozioni forti e ingestibili e di esperienze fisiche, innescate dai ricordi dell’evento traumatico, che si ripetono all’infinito nel corpo.
Questa attivazione fisiologica cronica è alla radice dei sintomi post-traumatici ricorrenti per i quali il paziente richiede una terapia.

 

Questo succede sia perché i ricordi traumatici sono codificati a livello sottocorticale (ovvero non ancora presenti e definiti nella memoria autobiografica personale), sia perché l’attivazione traumatica ricorrente continua a creare un senso somatico di minaccia, o di "terrore senza parole".
Quando l’esperienza traumatica resta codificata a livello sottocorticale, la capacità di assimilarla all’interno di una narrativa di risoluzione non è disponibile; in questo caso sarà il corpo ad esprimere ciò che la mente razionale non è in grado di fare.


Una strategia terapeutica rivolta ai blocchi psicosomatici dev'essere sempre integrata. 

Deve quindi prevedere un trattamento fisico diretto, ma deve anche considerare il corpo come punto di ingresso nella psicoterapia attraverso un processo di espressione e formulazione narrativa classica “top-down” (dall’alto verso il basso). Il paziente deve cioè poter trovare le parole per descrivere le paurose esperienze che ha subito e capire insieme al terapeuta perché queste esperienze rimangono così scomodamente registrate nel suo paesaggio interiore.


La premessa è che un cambiamento significativo nelle cognizioni e nelle emozioni di un paziente comporta un cambiamento nell’esperienza fisica o nella rappresentazione del senso di sé.
Viceversa, andando a lavorare proprio su quelle cristallizzazioni fasciali che rappresentano la strutturazione del trauma è possibile eseguire un meno classico lavoro “bottom-up” (dal basso verso l’alto).


Gli obiettivi principali sono quindi il linguaggio (noi siamo ciò che pensiamo) e la struttura corporea del paziente.
La narrazione rappresenta sempre un punto essenziale nel processo terapeutico, ma a questa è importante integrare interventi “dal basso“.
Gli interventi psico-corporei dal basso affrontano le sensazioni fisiche ripetitive e non richieste, le inibizioni del movimento e le intrusioni somatosensoriali di traumi irrisolti (la bioenergetica in questo è maestra).


Un terapeuta esperto nell'approccio integrato, grazie alla sensibilità della sua mano, è capace di percepire i movimenti piccolissimi fasciali e può evidenziare quei disturbi della motilità che, a loro volta, possono rivelare la storia del paziente.
Agli approcci terapeutici sopra descritti, è auspicabile affiancare dei trattamenti in grado di “sbloccare” le fasce (ovvero il luogo sede dei blocchi corporei), agendo direttamente sui blocchi fisici e indirettamente su quelli psichici.
Esistono diverse tecniche che permettono di restituire la motilità ed eliminare la "distorsione fasciale", permettendo al corpo di ristabilire col tempo le normali funzioni fisiologiche.
Pensiamo ad esempio all’osteopatica fasciale, alla biodinamica, all’agopuntura, ai massaggi e alle molteplici tecniche corporee.

Per poter fare tutto questo, è possibile lavorare attraverso un classico setting one-to-one (terapia individuale), oppure attraverso forme evolute di terapia di gruppo in cui oltre al lavoro terapeutico classico, si somma anche la forza terapeutica del campo che svela, agisce e cura.

 

In questo complesso scenario, non dobbiamo dimenticare il potere epigenetico del trauma e quindi l’importanza di lavorare anche su quel versante.
La narrazione e di conseguenza la riorganizzazione è in grado di svolgere un’azione epigenetica essenziale.
Cambiare il modo in cui noi ci vediamo e ci presentiamo al mondo è in grado di modificare anche l’epigenetica e, quindi, la manifestazione corporea.
Possiamo dunque affermare che un trattamento integrato e realmente olistico non può prescindere dal considerare le fasce come quella struttura dove può risiedere la salute (motilità, equilibrio e armonia) o, al contrario, dove può cristallizzarsi la patologia (blocco, disequilibrio e disarmonia).


Ecco perché è sempre fondamentale eseguire un lavoro profondo su di sé (e senza pretesti), non solo da un punto di vista fisico, ma anche mentale e, soprattutto, spirituale.

 

Fonti:

- S. Manera. Questo nostro immenso amore. Gabrielli editore, 2022

- P. Ogden, C. Pain, K. Minton, e J. Fisher. Includere il corpo nella psicoterapia tradizionale per individui traumatizzati. Psychoanalitic Research, 2005. 

- J. Fisher. Il Corpo nella Psicoterapia tradizionale per individui traumatizzati. Sito web FCP, 2023.









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